Nelle ultime sedute di consulta, le associazioni venatorie hanno evidenziato come la presenza eccessiva del cinghiale sia certamente conseguenza di aree protette ormai diffuse soprattutto in zone estremamente impervie e boscate. In questo quadro preoccupante e quasi fuori controllo si inserisce un uovo capitolo del Piano Faunistico-Venatorio, che aggrava oltremodo questa situazione accentuando la linea di “proteggere”, tra l’altro senza motivo, nuove e diffuse aree. Di cosa stiamo parlando? Ovviamente dell’istituzione dei tre nuovi valichi montani. Perché sosteniamo che ciò sia senza motivo? Innanzitutto perché i nuovi valichi, al pari di alcuni preesistenti, non hanno la qualità e le caratteristiche delle vere perle che all’epoca furono istituite per salvaguardare le zone nelle quali gli uccelli più pregiati potessero passare. In secondo luogo perché tali specie migratrici non possono più essere messe a rischio dalla caccia, che dagli anni Ottanta ad oggi ha subito un calo continuo che sfiora il 5% annuo.
In cosa consiste questo sbagliato provvedimento? In pratica, preso a riferimento un luogo di particolare interesse nelle rotte migratorie degli uccelli si stabilisce di istituire un “valico montano” che, di fatto, diventa immediatamente un’area protetta, il centro di un cerchio dal raggio di un chilometro sulla planimetria dell’Umbria. Il tutto avviene, purtroppo, con il supporto del Piano Faunistico-Venatorio che, essendo molto articolato, nasconde cavilli utilizzabili per mettere a segno colpi bassi del genere.
Forse a chi non frequenta a sufficienza la natura, o non è abbastanza pratico di mappe e planimetrie, potrebbe sfuggire il fatto che, in linea d’aria, il raggio di un chilometro copre un’estesa selva di calanchi, boschi più o meno impenetrabili e grottoni creati dalle erosioni e smottamenti. Il tutto ovviamente costituendo non solo impedimento per la caccia al cinghiale ma ponendo le basi per un forte inselvatichimento dell’intera area perché i cacciatori, pur detestati e odiati, sono come tutti sanno degli instancabili gestori del territorio cui è loro consentito cacciare. A loro si deve la manutenzione di sentieri e ripari, realizzata anche, ovviamente, per migliorare la pratica venatoria. C’è infine da precisare un dato incontrovertibile della nostra regione: noi non abbiamo una catena montuosa che si estenda longitudinalmente e con cime imponenti come le Alpi, ma solo una modesta catena principale costituita dagli Appennini e dei rilievi a ovest del Tevere.
Entrambe le catene si estendono da nord a sud, considerate vicine alle direttrici di migrazione nonostante le rotte reali, in realtà, siano un po’ trasversali probabilmente per sfruttare l’asse di rotazione terrestre. Questa idea ha portato a istituire tre valichi in linea longitudinale sulle località Bocca Trabaria, Fossato di Vico e Passo della Carosina, peraltro ben al di sotto dei mille metri sul livello del mare. Invitiamo tutti a visitare questi valici, in maniera tale da rendersi conto del poco interesse naturalistico che rivestono. Ovviamente, per noi cacciatori si tratta di zone meravigliose: ma per chi è abituato a parchi e panorami mozzafiato hanno ben poco di emozionante.
Tuttavia, grazie al cavillo dei valici montani – strumenti pensati 40 anni fa per proteggere la fauna migratrice che, lo ribadiamo, non corre più alcun pericolo – si vanno a realizzare tre importanti cerchi di protezione per i cinghiali. Aree protette le quali, fra l’altro, trovandosi come detto a quote relativamente basse si rivelano eccezionali per lo svernamento e la riproduzione di questo mammifero. Le associazioni venatorie umbre scriventi concordano sul fatto che l’istituzione dei tre nuovi valici sia un atto anacronistico e contro la caccia programmata di oggi. Un atto che, oltretutto, non trova riscontro nelle confinanti Regioni Marche e Toscana, che non hanno considerato il valico, con il risultato che dalla parte di entrata degli uccelli migratori ci saranno comunque i cacciatori (Federcaccia, Libera Caccia, Enalcaccia, Arci Caccia, ANUUMigratoristi e CPA).