Si è svolta il 24 marzo scorso a Bergamo la 54a Assemblea Nazionale ANUU Migratoristi in cui il Responsabile Cacce Tradizionali, Andrea Trenti, è intervenuto sul tema “Cacce tradizionali: la riconquista culturale!!!”.
Le cacce tradizionali hanno sempre rappresentato una serie di elementi culturali, sociali, venatori ed economici di sicuro rilievo, scrivendo pagine di storia nelle realtà rurali del territorio italiano: un forte legame umano all’interno della popolazione che puntualmente viene tramandato dalle varie generazioni. Senza entrare in sterili diatribe sulla causa per cui questa tipologia di caccia è stata fortemente penalizzata nel corso degli anni, dobbiamo ancora una volta avere il coraggio di affrontare la questione in modo tecnico.
Il torto subito è oggettivo: l’esclusione dalle specie cacciabili di alcune specie migratrici (in ottimo stato di conservazione) che per secoli hanno rappresentato una consuetudine tipica e sostenibile delle nostre province, non ha avuto fondamenti tecnico-scientifici ma unicamente di natura emotiva.
La situazione attuale è molto complicata dal punto di vista politico: dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 15/07/2010, in cui lo Stato Italiano veniva obbligato a modificare l’articolo 19 bis della legge 157/92, nulla è stato fatto in questa direzione per soddisfare le richieste dell’Unione Europea. Questa immobilità ha portato la Commissione a inviare, il 24/11/2011, una richiesta di messa in mora all’Italia per i mancati adempimenti, portando alla luce le presunte criticità di alcune Regioni nell’applicazione del prelievo in deroga.
Per riflettere su questa situazione, l’esempio più eclatante riguarda la Regione Lombardia. Al punto 2.2.2.3 la Commissione Europea sottolinea alcune carenze dell’Ente regionale riguardanti la mancanza di motivazioni, la mancata evidenziazione di soluzioni alternative soddisfacenti, la mancanza delle ragioni astratte e l’invalidità degli ultimi dati INFS (ora ISPRA) relativi alla stagione venatoria 2005-2006.
Lascia molto perplessi il fatto che la Commissione evidenzi alcune criticità senza per contro fornire indicazioni specifiche per attuare i provvedimenti normativi nel modo corretto, come avviene per altri Stati membri.
È bene sottolineare uno spunto normativo basilare per tutte le Regioni italiane interessate al prelievo in deroga: la Regione Lombardia in tutte le comunicazioni e ordinanze ricevute dalla giustizia europea non aveva l’obbligo di abolire la l.r. 24/2008 (cosiddetta “legge quadro sulle deroghe”), bensì di modificarne alcune parti e per questo motivo, nel corso degli ultimi anni, il Consiglio regionale lombardo ha provveduto ad abrogare solamente i commi 1, 3, 4 bis e 4 ter dell’art. 4 della l.r. 24/2008. In sostanza, la struttura della legge è attualmente vigente fornendo una concreta possibilità di utilizzare il medesimo atto legislativo come punto cardine sul quale predisporre un nuovo progetto di legge di valenza annuale.
Siamo soddisfatti che la Regione Lombardia abbia creato una Commissione di Consiglieri delegati alla risoluzione del problema che, in viaggio istituzionale, hanno raggiunto Bruxelles il 22 marzo per veder riconosciute le cacce tradizionali come patrimonio di usanze e consuetudini locali, un concetto già previsto dall’art. 2 e dall’art. 9, comma 1, lettera c), della Direttiva 2009/147/CEE, nonché soluzione proposta anche dalla nostra Associazione e dal mondo venatorio in generale.
A sostegno di questa “spedizione” abbiamo consegnato tutto il materiale tecnico raccolto in questi anni a supporto delle nostre rivendicazioni, dimostrando come altri 15 Stati membri applichino abitualmente le deroghe di cui al citato art. 9, spesso con analoghe motivazioni di fondo, senza che per questo la giustizia europea gli “tiri le orecchie”.
I principi ispiratori sui cui trovano la base le nostre motivazioni partono dalle ragioni culturali, sociali ed economiche in secoli di storia rurale, che non possono essere cancellati con noncuranza.
Se pensiamo che, ad esempio in Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Lettonia, Malta, Olanda e Spagna sono consentite deroghe in virtù delle tradizioni e usi locali, troviamo forza nel portare avanti quelle che consideriamo le nostre legittime richieste.
Un altro passaggio essenziale è la determinazione della piccola quantità: la Commissione Europea sostiene che gli ultimi dati forniti dall’ISPRA nel 2005 non siano totalmente attendibili in quanto l’Ente stesso li ha successivamente reputati inesatti.
Considerato che l’Istituto sta venendo meno agli obblighi che la legge gli affida e da tempo è inadempiente sul fornire i dati necessari per stabilire la piccola quantità, dobbiamo creare nelle Regioni italiane gli Osservatori Regionali che, per legge, possano sostituire il lavoro dell’ISPRA ove inefficace/inadempiente anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 16/2012 riguardante la Regione Sardegna.
Il 18/10/2011 il Dipartimento per le Politiche Europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri inviava la nota n. 7137 alle Regione italiane avente a oggetto alcuni chiarimenti forniti dalla Commissione Europea in materia di caccia. In particolare, si riportano alcune (per noi inaccettabili) affermazioni circa le motivazioni adottate per consentire la caccia in deroga relative al mantenimento di una tradizione culturale fortemente radicata sul territorio. Si aggiunge che il richiamo ad abitudini di caccia risalenti al Medioevo o alle antiche necessità di “integrare la povera alimentazione della gente del popolo con proteine animali” non appaiono pertinenti nell’attuale contesto, in particolare a causa della radicale diversità della situazione storica, sociale, ambientale e giuridica.
Sono affermazioni gravi, sia sotto l’aspetto culturale che umano. Ogni nostro atteggiamento nella vita quotidiana è frutto di esperienze tramandate e insegnamenti avuti nel passato, mentre si vorrebbe, con un colpo di spugna, cancellare questa lunga storia, un paradosso che il mondo istituzionale dovrà sistemare al più presto perché anche i cacciatori sono cittadini italiani che hanno tutto il diritto di vedersi rispettati come avviene nel resto dell’Europa.
Risulta difficile comprendere come la Commissione Europea possa lasciare spazio a considerazioni anomale sia sotto l’aspetto legislativo (altri Paesi Membri applicano il prelievo in deroga per le stesse ragioni), che di quello sociale ed economico, e invece non riconosca questo valore oggettivo derivato da usanze rurali ben radicate e presenti in molte zone del territorio italiano.
Tornando ad aspetti tecnico-giuridici: il punto 3.4.10 della Guida interpretativa alla Direttiva 409/79/CEE (ora 147/2009/CEE) recita: “In questo contesto il termine soddisfacente potrebbe essere interpretato nel senso di una soluzione che risolve il problema particolare dinnanzi al quale si trovano le autorità nazionali”.
Il punto 3.4.14 prosegue ribadendo che: “nel caso della caccia ricreativa, questa domanda è legata inestricabilmente al fatto che tale tipo di caccia possa essere considerata quale impiego misurato ai fini dell’art. 9, comma 1 lettera c”.
Risulta quindi determinante autorizzare il prelievo di talune specie, sempre in più che favorevole stato di conservazione, per salvaguardare le tradizioni e le usanze popolari che esprimono un bisogno fortemente legato ad alcune aree rurali del territorio italiano. Un mondo istituzionale attento ai bisogni e alle necessità dei cittadini che lo eleggono a rappresentante, non potrà sottrarsi a questa necessità di attenzione se vorrà realmente essere interprete di democrazia.
ANUU Migratoristi