Stop all’abbattimento dei cinghiali per l’emergenza coronavirus. A livello nazionale, Coldiretti riporta una situazione fuori controllo, con il selvatico senza freni che “sta danneggiando i raccolti e mettendo a rischio la sicurezza delle famiglie, nelle poche occasioni in cui è permesso uscire di casa”. Non si può dire lo stesso per la provincia di Sondrio, al momento almeno. «Certo, in questi mesi la riproduzione è nel suo pieno – spiega il responsabile del settore della Provincia di Sondrio, Gianluca Cristini – e non vedremo gli effetti del piano come se avessimo potuto continuare gli abbattimenti selettivi; ma di sicuro nemmeno un incremento così sostanzioso vista la situazione di partenza, i tempi dell’animale e lo sblocco dell’impasse che speriamo possa esserci presto».
Da inizio anno fino allo stop sono stati abbattuti 80 esemplari, 380 nel 2019. «Il piano di abbattimento procede tutto l’anno, fatta eccezione per il periodo di sovrapposizione con la caccia: da fine agosto ai primissimi giorni di dicembre». Una volta abbattuti i mammiferi finiscono nei centri di lavorazione selvaggina per il monitoraggio sanitario e, in caso di nullaosta da parte del veterinario, venduti all’asta da palazzo Muzio. L’interruzione causata dal Covid «favorisce la riproduzione dell’animale, anche se le conseguenze non saranno al momento troppo problematiche per noi, visto che siamo appena usciti dall’inverno e le principali attività agricole o di alpeggio sono ancora ferme – aggiunge- L’unica segnalazione che abbiamo ricevuto arriva dal comprensorio di Sondrio, a quota 800 metri, vicino alle abitazioni: stiamo valutando se intervenire».
Negli ultimi tempi, grazie al piano di abbattimento, che può essere condotto solo da personale qualificato sotto la regia della Polizia provinciale, «abbiamo notato una riduzione dei danni imputabili alla diminuzione degli esemplari dei quali è difficilissimo fare il censimento», specifica Cristini. Diverso il discorso per altre province che, di contro, «hanno scelto di aprire la caccia alla specie. Decisione che, nei fatti, si è dimostrata controproducente – continua l’esperto – Non lo diciamo noi ma i colleghi delle zone in questione per le quali ormai è pressoché impossibile fare marcia indietro. Per questo rimaniamo fedeli al nostro modello». L’auspicio è che «si possa riprendere l’attività di contenimento, che peraltro non comporta contatto tra le persone ed è considerata alla stregua di un servizio di pubblica utilità – conclude- La Regione, di fatto, non ha posto un vero e proprio veto, ha dato un consiglio che abbiamo preferito seguire. Valuteremo gli sviluppi delle prossime settimane e decideremo il da farsi» (Il Giorno).