Caccia al cinghiale: Il fascino della caccia al cinghiale come arte che passa da una generazione all’altra. Nipote e nonno a caccia di cinghiali insieme.
Sono fortunato: i miei genitori hanno deciso di sposarsi molto giovani e questo mi ha avvantaggiato in almeno due modi diversi, ho genitori giovanissimi e ho ancora la possibilità di andare a caccia in compagnia di mio nonno che oramai ha i capelli bianchi e non ci vede più come un tempo ma di esperienza ne ha da vendere. Delle volte viene con noi anche solo per mangiare un panino su in montagna, o per bersi un buono bicchiere di rosso in compagnia ma va bene così. Spero anche io d’avere voglia, a 86 anni, di salire in montagna con in braccio il mio fucile. Ci metterei la firma!
E’ stato lui ad insegnarmi tutto quello che so in fatto di armi, animali, montagna e caccia: mio padre, non ci crederete, odia tutto questo, quindi la felicità di mio nonno quando ha trovato un nipote particolarmente ricettivo in fatto di arte venatoria ve la potete facilmente immaginare. La caccia che entrambi preferiamo? Quella al cinghiale chiaramente, anche se oramai nonno Vittorio non partecipa più, non attivamente per lo meno.
Come ogni cacciatore che si rispetti io ricordo ancora perfettamente la prima giornata di caccia al cinghiale: nonno Vittorio era il capo caccia e non me lo ha mai detto, ma ricordo la sua emozione nel presentarmi ai compagni come il nipote. Insomma ancora non ho figli, ma credo sarà la medesima emozione che proverò io nel condividere le mie passioni con il sangue del mio sangue.
Saranno stati gli inizi di dicembre, ricordo solo che c’era un freddo tremendo del quale non mi lamentai nemmeno una volta; d’altronde avevo solo 16 anni e non volevo che mi rispedissero diritto a casa. Con me avevo la mia prima carabina regalatami dal nonno, ovviamente con grosso disdegno da parte di mio padre che avrebbe preferito condividessi con lui la passione per la bici. Si trattava di un arma usata, ma per me era la più bella che si potesse desiderare.
L’appuntamento era fissato per le 6,30 ma io alle 5,30 ero già sotto casa ad aspettare che il nonno passasse a prendermi. Dopo qualche strizzatina d’occhio e qualche “ciao novellino” mi caricarono sul fuoristrada e salimmo in montagna. Allora i sentieri erano appena pronunciati e per scalare la zona ci voleva davvero coraggio. Nonno mi consigliò di posizionarmi su un costone dal quale avevo la possibilità di vedere tutta la vallata: la zona la conoscevo molto bene, in autunno mi ci portava sempre a cercare funghi. Mi consigliò di tenere d’occhio il sentiero che saltava fuori dal bosco perché se i cinghiali erano in fuga dovevano passare necessariamente da lì. Mi affiancò Giovanni un ragazzo più grande di me di qualche anno.
Slegati i cani e assegnate le poste fu il silenzio: quella marea di uomini divenne taciturna e invisibile in attesa del più piccolo rumore. Non ricordo quanto tempo passò, un ora, forse due, quel che ricordo è l’abbaiare di Roger, il cane del nonno e il gran movimento tutto attorno. I cinghiali erano stati scovati e c’era solo da aspettare “respira profondamente e non farti prendere dalla fretta” mi disse Giovanni proprio mentre qualcuno esplodeva qualche colpo e io pregavo che il cinghiale passasse per il nostro sentiero. Credo sia stata la prima e l’ultima volta che le mie preghiere sono state ascoltate. Qualche minuto dopo, poco distanti da noi si iniziò a sentire il baio a fermo dei cani: il cinghiale era in mezzo ai cespugli braccato dai cani. Sapevo perfettamente cosa sarebbe successo di lì a poco, nonno me lo aveva raccontato mille volte. Il cinghiale partì come un fulmine cercando di aggirare i cani e correndo proprio verso di noi. Ricordo cespugli in movimento e il cuore che andava come un treno: imbracciai la carabina, puntai, ma Giovanni, come dimenticarlo, fu più veloce di me. Ai suoi colpi seguirono i miei che come era facile immaginare, vennero piazzati male. Per fortuna una quarantina di metri più a valle il demonio nero incontrò mio nonno. Qualche minuto più tardi lo sentii urlare: preso!
Mentre raggiungevo il gruppo piuttosto mogio ripensavo ai colpi da schifo partiti dal mio fucile: “E’ un gioco di squadra Emanuele”, mi disse mio nonno e quel giorno capii qualcosa di più sulla caccia al cinghiale e sull’abilità di mio vecchio nonno.