in almeno 40 anni di RAI e 16 di TV satellitare non ho mai partecipato ad una trasmissione televisiva più sgangherata di quella alla quale mi hanno invitato ieri. La trasmissione era Tagadà di La7, condotta da Tiziana Panella. Gli studi erano quelli di via Novaro 32, dove una volta erano ospitati gli studi 7 ed 8 della RAI e dove negli anni ’70, fino alla riforma del 1976, ho realizzato almeno 800 puntate di Ore20, la trasmissione quotidiana che faceva da traino al giovane Tg2 delle 20,30, quello condotto da Ennio Mastrostefano. I più vecchi lo ricorderanno. Tutto è cominciato con una telefonata: “Vorrebbe venire domani a parlare di caprioli a La 7?” “Per quale trasmissione?” “Tagadà” “Come? “ “Tagadà” “ E che è? A che ora devo essere lì?” “Lei andrà in onda alle 16. Basta che venga mezz’ora prima” “Chi la conduce, quali sono gli altri ospiti?” “La Panella. Per le altre notizie, la chiamerà la redazione domattina. La mandiamo a prendere con un’auto” “Non serve, conosco la strada” L’indomani alle 11 mi telefona qualcuno. Grazia, forse uno degli autori. “Qual’ è il tema?” “I caprioli” “Sì, ho capito. Ma più precisamente? Venga qui e lo saprà. Ah, mi raccomando. Venga vestito da cacciatore.” “Dice sul serio? Devo venire in costume?” “Sì, ma senza fucile.” “Sicuro, senza fucile?”
La mattina dopo, aspettando di far l’ora, ho raccolto per prima cosa i dati sulla gestione del capriolo in Italia, quelli dell’Ispra, vecchi di 11 anni e quelli più recenti di amici ricercatori. Non essendo nuovo a queste esperienze pensavo che mi sarei trovato davanti, come sempre, qualche agguerrito ambientalista o nella migliore delle ipotesi, studiosi e ricercatori non del tutto favorevoli alla caccia, anche se non di caccia. ma di gestione pensavo avremmo parlato. Proprio perché il tema era : il capriolo, specie cacciabile solo in selezione, secondo piani di abbattimento redatti dopo accurati censimenti e assai rispettosi della struttura delle popolazioni. I numeri sono a nostro favore: il tipo di gestione che in Italia si pratica sugli ungulati è vincente. In pochi anni siamo riusciti ad aumentare le popolazioni di fauna selvatica fino a raggiungere quelle di Paesi europei che abbiamo sempre considerato come modelli da raggiungere. In particolare, Franco Perco, direttore del Parco dei Sibillini e tra i più grandi esperti europei della specie capriolo, sostiene addirittura che dovremmo essere vicini al milione, tanti quanti sono presenti in Ungheria. Mi sa che si parla anche di lupo, pensai. Alessandro Bassignana mi aveva appena telefonato per dirmi che una redazione di LA7 gli aveva chiesto i dati sui lupi in Piemonte. Raccolsi così anche elementi sul lupo, semmai il dibattito si fosse allargato anche a questa specie. Insomma, mi sono preparato ammodino. Vediamo desso su Internet che cosa è questa “Tagadà” e chi è la conduttrice. La trasmissione è un contenitore pomeridiano dove si parla di varia umanità. La conduttrice, una donna assai bella, era presente con un curriculum di tutto rispetto. Bene, allora. Che problema c’è? Il dibattito volerà alto, guidato da questa collega di grande esperienza.
Alle 15,30, mi presento all’appuntamento, vestito non in tuta mimetica come si sarebbero aspettati, ma in sahariana. E’ un abito che indosso normalmente durante l’estate e non necessariamente durante i safari. Mi introducono in una saletta angusta dove gli ospiti solitamente aspettano il loro turno. C’era già un simpatico signore in giacca e cravatta. Si presenta- E’ un agricoltore della provincia di Asti che lamenta i danni che i caprioli della zona fanno ai vigneti e alle piante da frutta. Entrano altre due persone, una bella ragazza e uno spilungone malvestito. La ragazza mi guarda e senza nemmeno presentarsi fa: “Lei è cacciatore?” Risposi: “Sì, anche. Ma per prima cosa sono un uomo di buone letture e di sani principi, un giornalista, anche nonno. E lei immagino sia una vegana, di professione.” Fece un smorfia e non rispose. Ah, pensai, cominciamo bene. Con lo spilungone. che si guardò bene di presentarsi, iniziò una fitta conversazione sottovoce. Chiedo di parlare con gli autori per conoscere ll’argomento del dibattito. Il capriolo, mi dicono. Il capriolo, come? Sono troppi, troppo pochi, decimati dal lupo, i caprioli e i danni all’agricoltura. E chi interviene? Quelli che vede: un agricoltore, un’ambientalista e un etologo. Chi è? Verrà presentato in studio con i suoi titoli. E quanto tempo abbiamo? Venti minuti.
Veniamo “microfonati”, come diciamo in gergo, e sediamo in studio. La giornalista non fa gli onori di casa, non saluta, nemmeno si presenta. Attacca subito sottovoce, ma così sottovoce che l’agricoltore ed io. un po’ sordi, le chiediamo di parlare più forte. Non sentiamo niente. Forse annuncia il tema del dibattito. Ma intanto viene data la parola a un’ospite del precedente spazio che non era riuscita a esprimere il suo parere sui centri sociali o le case famiglia. Il tempo passa. La signora ci ha rubato cinque dei nostri venti minuti. Viene “lanciato” un filmato realizzato sulle colline dell’Astigiano, dove gli agricoltori lamentano i danni dei caprioli, che brucano i germogli della vite, divorano la frutta e scortecciano i fusti delle piante per liberare il velluto dal palco e per lasciare i segnali visivi e olfattivi della loro presenza su quel territorio. Restano dieci minuti. Veniamo presentati. Nome e basta. Ma come fa la gente a sapere se abbiamo o no titolo per parlare? Chi cazzo è l’etologo, da quale università viene? E la bella vegana a che titolo parla? A quello generico della sua setta? Ed io? poteva scegliere fra tanti: direttore del Canale di caccia di Sky, presidente della commissione etica del CIC, giornalista tv cresciuto proprio in questi studi, esperto di problemi legati alla gestione della fauna e del territorio, scrittore, pazzo visionario che accetta inviti così scombiccherati. Non credo che la redazione non le abbia scritto sul copione chi siamo e perché siamo lì. L’unico ruolo certo era quello dell’agricoltore che giustamente viene invitato a parlare subito dopo il filmato. La soluzione da lui proposta è una sola: sparare. Salta su la vegana: perché ammazzarli? si possono castrare chimicamente, spostare in una zona protetta. E poi comunque, dice quell’altro, la gestione non la possono fare i cacciatori. Ahimé, pensai. Altro che volare alto. Qui sentiamo le stronzate di sempre. Interviene l’etologo che spara ancora a zero sui cacciatori, è tutta colpa loro, hanno distrutto territori e fauna, avvelenano lupi e orsi. Ormai i lupi sono quasi estinti. Sono rimasto in silenzio, senza interrompere. Aspettavo che mi dessero la parola per dire: la castrazione ormonale è reato, portarli in una zona protetta è ancora peggio perché le invasioni dei campi sono opera soprattutto di animali che provengono dalle aree protette. All’etologo avrei detto, se mi avessero lasciato il tempo: ma se abbiamo distrutto tutto, chi li procura i danni alle colture? Solo alla notizia che i lupi sono in estinzione, non ho saputo trattenere un grido. Ma che cosa dice questo? I lupi sono ormai diecimila e sono loro il nuovo problema! Finalmente mi danno la parola e, continuamente interrotto dalla vegana, spiego che in venti anni di gestione della grande fauna selvatica in Italia abbiamo ormai raggiunto numeri da far invidia ai Paesi dell’Europa Centrale. Di caprioli, per fare un esempio, ne abbiamo un milione, tanti quanti ce ne sono in Ungheria. E’ così che abbiamo distrutto la fauna? Ad un certo punto, stanco delle continue interruzioni della vegana, le ho detto: “Ma statti zitta. Va’ a brucare!” Qui credo che molti a casa abbiano pensato: quanno ce vo’. ce vo’! Redarguito dalla maestra, che mi pare mi abbia dato del maleducato e abbia invece lasciato passare insulti e interruzioni nei miei confronti, non ho più avuto la parola. Dopo altre chiacchiere, proposte ridicole (ma perché non fate le recinzioni intorno alle colture? La domanda agli agricoltori suona così: perché non spendete altri soldi per fare le recinzioni?) ho chiesto disperatamente la parola per spiegare come funziona il meccanismo della gestione e del conseguente controllo delle specie selvatiche. Finalmente, quando già scorrono i titoli di coda, mi vengono concessi 30 secondi per dire che: si fanno i censimenti, poi piani di prelievo, poi le istituzioni ci affidano gli abbattimenti. Qui mi “sfumano”. mi viene tolto l’audio. Fine della trasmissione. Mi è sfuggito un vaffanculo, che è stato chiaramente percepito durante i titoli di coda. La frase con la quale avrei voluto concludere era: i censimenti ci forniscono dei valori sottostimati e le istituzioni, dove sono presenti animalisti e anticaccia, ci danno un numero di abbattimenti troppo bassi. Ecco che poi esplodono i problemi come quelli denunciati da questa grottesca, velleitaria, dilettantesca trasmissione, aperta da un ottimo servizio filmato e sciupata da una conduttrice di parte, incapace di distribuire i ruoli e a tenere in mano tempi e argomenti. Gli autori, che si erano resi conto di come era fallito un dibattito che avrebbe potuto fornire e indicare forse delle soluzioni, sulla porta dello studio mi fanno: “Torneremo sull’argomento e così potrà completare il suo pensiero”. Ed io: “Ma se invitate qualche rappresentante di una setta come i vegani a discutere di economia, agricoltura e gestione della fauna a del territorio, fate a meno di chiamarmi:” E quelli:“Va bene.”
Mi dispiace per La7, dove ogni sera seguo l’ottimo telegiornale di Enrico Mentana, programmi di grande eccellenza come 8 1/2 e Crozza. Nei prossimi giorni, guarderò ogni tanto Tagadà e seguirò il lavoro della conduttrice Non sono vendicativo e concedo sempre una prova d’appello. Anche se ieri mi hanno rovinato la giornata, lei, la vegana, gli autori e gli etologi immaginari.
Gent.mo Dr Modugno,
Vorrei provare, con tutto il rispetto che merita, a rispondere a questo suo sfogo, che capisco benissimo, dal punto di vista umano e professionale, ma non posso condividere.
Io ho visto la trasmissione. Sapevo che sarebbe stata mandata in onda, ed ero pronto: temevo che lei sarebbe caduto nel tranello mediatico che era facile aspettarsi, e l’ho anche scritto nella sua pagina di Facebook. Cosa che purtroppo si è verificata.
Lei dice di essersi preparato, ma in realtà non era pronto, Dr Modugno, perché non sapeva cosa l’aspettava.
Vede, lei può essere preparatissimo, ed avere grande esperienza e professionalità, cosa che è, ma in un pulpito televisivo ha la stessa visibilità dell’ultimo idiota vegano. Non conosceva la Martani? Adesso la conosce. Chi frequenta Facebook la conosce: direi che per alcuni è un mito, per altri è un mito negativo.
L’etologo non lo conoscevo, ma mi sono bastate tre parole per inquadrarlo: sapeva benissimo cosa dire, e quando e come interromperla.
Il risultato è stato disastroso: invitare la Martani a brucare ha avuto un impatto mediatico orrendo. Lei è passato dalla parte della ragione, come diceva mio nonno, al torto più becero: ha rappresentato perfettamente il cacciatore rozzo e violento, come si voleva far apparire, cosa che invece lei non è di certo.
Vede, se lei frequentasse di più Facebook , prendendo visione dei suoi gruppi, vegani in primis, e del linguaggio comune utilizzato, inteso non tanto come parole, ma come mentalità corrente, si renderebbe conto che il mondo è cambiato. In peggio.
Nella società moderna non conta tanto l’essere, quanto apparire. Vi sono tecniche di comunicazione ben precise in proposito, che sanno come arrivare alla pancia della gente, nei pochi secondi dei tempi televisivi.
Con certi gruppi, non ci si ragiona, nemmeno con l’evidenza in mano: ne è un esempio il gruppo degli antivaccinisti, che da anni negano qualsiasi evidenza scientifica, insistendo sulle relazioni fra autismo e vaccinazioni.
Non conta la verità : conta il risultato finale. Purtroppo questa sfida lei l’ha persa, ma era tutto scritto e voluto. Oggi l’animalismo fa audience.
Io credo che le varie associazioni venatorie, dovrebbero mettere in cantiere vari uffici stampa dedicati alla comunicazione mediatica moderna, perché l’immagine è tutto al giorno d’oggi. I soldi non mancano, con tutto quello che paghiamo.
È quanto hanno fatto grossi gruppi economici ( ad esempio l’Agenzia delle Entrate): un motivo ci sarà.
Consideri questa sua esperienza come fosse stata “una padella” nel bosco. Niente di più.
Ma ci rifletta su, perché il mondo venatorio ha bisogno di persone come lei.
In bocca al lupo.